Il 27 giugno 1924, in una sala di Montecitorio, l'anziano leader socialista Filippo Turati pronunciava davanti alle opposizioni parlamentari un discorso carico di turbamento, rabbia, speranza. Giacomo Matteotti era scomparso il 10 giugno e il suo corpo senza vita sarebbe stato trovato due mesi dopo. In risposta a quell'assassinio e alle violenze fasciste che si erano intensificate prima delle elezioni del 6 aprile, nacque la "secessione dell'Aventino": i parlamentari antifascisti, radunati in un'unione eterogenea di forze, decisero di astenersi dai lavori della Camera con l'obiettivo di evitare uno scontro armato e ripristinare il funzionamento della democrazia parlamentare. Attraverso un rigoroso studio delle fonti coeve, il libro ricostruisce i drammatici eventi che ne seguirono in tutto il paese, fino alla sconfitta di quel tentativo e all'avvio della dittatura fascista. Nella memoria postuma, l'esperienza aventiniana è stata qualificata negativamente da un'immagine di immobilismo, ma come mostra il volume avviò un laboratorio di democrazia destinato a dare frutti negli anni dell'esilio e durante la Resistenza.