Tre sezioni, tre intagli nel corpo vivo della parola. Un cuore centrale di vegetazione lussureggiante, la sacralità della condizione terrestre. Il seme dell'uomo è questo: la «ricerca - scrive Alessandra Di Meglio nella prefazione - di un nuovo linguaggio evocativo, primordiale, naturale, che sappia alternarsi ai silenzi e imparare la lingua degli esordi, come atto di rifondazione. Recuperare un linguaggio equivale a riformare e a ricreare. La lingua non ha il potere di rifondare l'antico foedus tra uomo e natura, ma può istituirne un altro tra sé e l'Autore. Nella poesia di Marco Russo l'antico seme materico si è convertito in voce fertile, si è tramutato in formula magica che rammenda l'amore e che, nell'incedere del tempo e nel taglio profondo della sua ferita, resta come traccia viva in grado di sottoporre all'attenzione di chi sa riconoscerla l'infinita bellezza del vero.»