Il romanzo racconta il passaggio del fronte di guerra nelle campagne romagnole sul finire del 1944, ma con un taglio originalissimo: mette in scena i soprassalti di una tragica commedia, che assai poco riguarda le violenze dell'invasore tedesco, gli eroismi della lotta partigiana, le attese della liberazione. Corrispondendo perfettamente alla promessa di rappresentare la guerra come nessuno ha mai fatto, Giovanni Tumidei racconta soprattutto l'epos squallido di una famiglia contadina, avvelenata dalla sua stessa organizzazione patriarcale, disposta alla rapina e all'inganno, al doppio gioco degli opportunisti privi di ogni principio etico, fino alla mercificazione delle proprie donne, cedute alle voglie dei tedeschi, ognuna di loro, peraltro, ben disposta al gioco dei sensi e alla irrisione del marito mezzano. Osserva lo svolgersi della commedia un io narrante di particolare singolarità: un ragazzo che con occhio limpidissimo segue lo svolgersi della turpe commedia, già disposto, a dispetto dell'età, al giudizio etico, forse l'unico ancora in grado di elaborarlo. Su tutto, si accampa la brillante abilità narrativa di Tumidei, che accende le pagine di questa epopea della corruzione per virtù di una ininterrotta inventiva linguistica e l'abilità di un regista di rango.