Amboise, maniero di Clos-Lucé, 23 aprile 1519: Leonardo da Vinci, prossimo alla morte, detta il proprio testamento. Al suo fianco, con il notaio e altri testimoni, c'è il pittore Francesco Melzi, giovane allievo con cui condivide da qualche tempo l'esperienza artistica in Francia, sotto l'ala protettrice del re Francesco I. Si spegnerà poco più tardi, il 2 maggio. Eretico, falsario, esoterista, spia: su di lui se ne sono dette molte. Forse perché la sua biografia è costellata di enigmi non ancora risolti. Forse perché fu un uomo estremamente curioso, che annotò qualunque cosa gli passasse per la mente. Tranne ciò che riguardava la sua sfera privata. Maria Teresa Landi e Luciana Tola immaginano Leonardo alle prese con la vita in un aldilà che molto somiglia a una corte rinascimentale, un luogo riservato a pochi in verità, in cui bellissime donne e colti gentiluomini conversano e inventano passatempi. Tra questi, ogni anno viene aperto un cosiddetto processo, il cui imputato è scelto da una commissione composta da Isabella d'Este, Ginevra de' Benci e Cecilia Gallerani. Scopo del processo è quello di conoscere l'animo dell'imputato, di esprimere un parere sia sulla persona sia sul suo operato, attraverso le testimonianze di amici, parenti e conoscenti. L'arrivo di Leonardo pare un segno del destino. Toccherà a lui sedere alla sbarra...