«È difficile scrivere di Tadeusz Borowski» sostiene Luca Bernardini «perché la sua opera è disuguale, frammentaria, incompiuta e insieme tragica, grandissima e dolorosa. Un'opera che riflette alla perfezione il suo autore, un uomo contrassegnato dalla tragedia, pieno di contraddizioni, scrittore di purissima razza, di cui rimangono un pugno di racconti e un gran numero di aspirazioni infrante, di desideri delusi.» Scrittore del lager e dal lager, Borowski non nasce come autore ad Auschwitz, né limita entro l'orizzonte dell'universo concentrazionario la propria esperienza. Della sua molteplice attività dà conto questo volume, una raccolta che alterna versi e racconti - molti dei quali tradotti per la prima volta in italiano - a ricostruirne idealmente la biografia letteraria, presentandolo di volta in volta come studente, amico, poeta, intellettuale, innamorato, deportato, infine cronista nello scenario postbellico tra le macerie morali e materiali dell'Occidente. L'aberrazione del totalitarismo, conosciuta fin dall'infanzia, e la vita nel campo sono sempre al centro della sua opera, che mette spesso in scena, con toni crudi e lirici assieme, l'uomo del lager, assuefatto anche al male più inimmaginabile. Accusato più volte di cinismo, Borowski si aggrappa in realtà a una serie di valori profondamente umani - l'amore e l'amicizia, l'arte, la poesia e l'istruzione - che tenta di salvare anche in quel "mondo di pietra" dove non sembra esserci più posto neppure per l'indignazione.