Ci sono giorni in cui Marthe Gail crede di essere Dio. Altri, Gesù Cristo. Il suo bambino è morto, o almeno così lei pensa. La luce rossa nella corsia è sempre accesa. Alle finestre ci sono sbarre. Le voci non tacciono mai. Nevica. Il tempo passa, i giorni si confondono. Dicono che dopo il parto ha avuto un esaurimento molto forte e che per questo ora si trova al Gorestown State Hospital. Qui le ore trascorrono animate dalle amicizie e dalle inimicizie con le altre pazienti, tra sala da pranzo e sala di ricreazione, ala est e ala ovest; da quel luogo apparentemente idilliaco, circondato da un inaccessibile giardino innevato, non si esce. Mai. Sconvolgente, a tratti esilarante, "Il manto di neve" (1930) è un romanzo-memoir che narra la vicenda di una giovane madre separata a forza dal suo neonato e sottoposta a devastanti "terapie", e descrive con linguaggio precisissimo ed evocativo la disgregazione di memoria, identità e corpo vissuta dalla protagonista. Un racconto di straziante lucidità che, oltre trent'anni prima di "Qualcuno volò sul nido del cuculo" e "La campana di vetro", affronta i temi della malattia psichiatrica e del suo trattamento.