L'italiano ha rappresentato, e seguita a rappresentare, il cemento unitario del Paese. Ne era ben conscio Vincenzo Monti, quando scriveva: "La lingua è l'unico legame di unione che l'impeto dei secoli e della fortuna, né i nostri errori medesimi non hanno ancor potuto disciogliere: l'unico tratto di fisionomia che ci conservi l'aspetto d'una ancor viva e sana famiglia." Ma in questi ultimi anni la nostra lingua ha risentito in modo evidente della nuova congiuntura storica. Da un lato la globalizzazione e dall'altro il regionalismo ne hanno messo a dura prova la tenuta. La latitanza delle classi dirigenti e l'indifferenza di molti italiani hanno fatto il resto. Alcuni dicono che bisogna lasciare la lingua al suo corso. Ma in realtà, apertamente o no, le decisioni linguistiche sono prese comunque e dovunque, nel mondo politico, in quello economico e nei media, per contribuire ad una migliore comprensione fra i cittadini o, al contrario, per dividerli. L'alternativa non è tra intervento e non intervento, ma tra una politica dichiarata (overt policy) ed una non dichiarata (covert policy).