La drammaturgia di Rocco Familiari ci immerge in un'architettura complessa e stratificata, senza prepararne capziosamente l'attesa, senza annunciarne il precipitarvi vertiginoso e denso. Questo sembra contrastare con il ritmo lenticolare e cadenzato che caratterizza anche questi due ultimi testi, concepiti nel tempo sospeso della prima ondata pandemica e dentro la logica irragionevole dell'assenza di contatto. Tuttavia, in quella irragionevolezza, è come se Familiari rintracciasse, in una sorta di inopinato rispecchiamento, il segreto di una sua antica vocazione, il senso di molto del suo empito. Allora, sia nell'"Attesa" che nel "Dono", legati da una sapientissima mise en abyme, emerge, più che la contingenza del momento storico, la coerenza di uno stile che disegna tra uomo e donna una trama innamorata di sé al di là delle relazioni che descrive.