Leggere le opere di queste nove scrittrici significa gettare uno sguardo su un aspetto, non secondario, della letteratura inglese del Novecento allo scopo di rilevare come il tema dell'omosessualità femminile proceda in parallelo con i molti cambiamenti in ambito sociale. Vernon Lee alle prese con ermafroditi, fantasmi effeminati e voci bianche; Dorothy Strachey che in Olivia descrive il rapporto mai esplicito tra Maestra e Allieva; Radclyffe Hall il cui capolavoro, Il pozzo della solitudine (1928), alla sua uscita subisce un processo per oscenità che porta alla condanna dell'autrice e al sequestro del libro; Virginia Woolf che, in Orlando (1928), mette in scena un mutante in grado di cambiare sesso attraverso i secoli; Katherine Mansfield la cui bisessualità è determinata dal sentirsi un'outsider, un'aliena e dal desiderio di esplorare "l'intera gamma del sesso"; Vita Sackville-West che fa del suo matrimonio scandaloso con Harold Nicholson, anche lui bisessuale, la pietra di paragone per abbattere le convenzioni sociali; Ivy Compton-Burnett che, secondo Alberto Arbasino, risulta "più freudiana di Freud, più edipica di qualunque Edipo classico moderno"; Violet Trefusis la quale, in Broderie Anglaise (1935), ci avverte che ormai, sono i forti personaggi femminili a rubare la scena a quelli deboli maschili; Jeanette Winterson che rifiuta l'uomo, considerato una bestia oppure un individuo di scarso interesse, e che sogna di creare un legame con un'altra donna nel cui corpo, simile a un archivio, possa conservarsi la memoria storica di noi stessi.