Tra XVII e XVIII secolo la cultura europea attraversò un periodo di lenta ma decisiva trasformazione caratterizzato da una notevole tensione scientifica che coinvolse il diritto. In questo periodo di straordinario fermento culturale anche il Regno di Napoli, solo apparentemente alla periferia di un'Europa in lenta transizione «dall'antico al moderno», seppe aprirsi a questi stimoli, evidenziando su più fronti significativi segnali di avanzamento. In un percorso tutt'altro che lineare e uniforme, prima delle proposte riformistiche avanzate dall'Illuminismo, anche il diritto criminale mostrò primi segnali di vivacità. Nel Regnum questa branca giuridica fu appannaggio di avvocati e giudici che ne plasmarono struttura e contenuti in un numero copioso di Pratiche criminali, ma anche di commentari e manuali istituzionali. Se una parte di queste opere rimase inesorabilmente legata alla tradizione, non mancarono, d'altro canto, segnali di inusitata apertura culturale: dalle sperimentazioni linguistiche a quelle sistematiche, fino alla moderata messa in discussione di alcuni istituti giuridici ritenuti fino ad allora insindacabili. Nonostante il carattere policentrico della criminalistica napoletana, il terreno principale di dibattito rimase ancora legato agli istituti della procedura. Ad animarlo si trovarono almeno due questioni fondamentali: il problema del valore e dell'utilizzabilità degli indizi ad condemnandum e quello della tortura giudiziaria. In quel periodo, la criminalistica sembrò schiudere maggiori spiragli garantistici con la presenza, spesso velata, di accenti critici nuovi verso prassi e istituti consolidati. Determinante fu l'influsso, spesso anche indiretto, che esercitarono la riscoperta dottrina umanistica nonché l'apertura verso la criminalistica europea - specialmente dell'area tedesco-olandese - alla quale buona parte dei giuristi napoletani guardò come ad un modello da cui trarre ispirazione per razionalità e rigore sistematico. Tratto unificante di questa cultura penalistica fu altresì la sempre crescente attenzione che venne riservata al diritto patrio, inteso quale nucleo giuridico fondamentale anche per il settore criminale, che spinse i giuristi a interrogarsi sempre di più, grazie anche ad un marcato interesse per la storia giuridica e istituzionale del Regnum, sulla portata "nazionale" che il diritto penale stava acquisendo. In questo senso può dirsi che a Napoli la cultura giuridica criminalistica oscillò tra due differenti dimensioni: una "nazionale", che portava con sé l'affermazione del diritto patrio, e una "europea", percepibile dalle non poche assonanze con il pensiero dei criminalisti d'oltralpe.