"Di buon mattino il neo commissario Gianfrancesco Andreoli si avviò a piedi verso l'ufficio e, giunto nei pressi del canale, quasi inciampò in un'immagine bronzea, priva di qualsiasi piedestallo che rappresentava un individuo dal volto ispirato. Gli si accostò e comprese che quell'immobile passante era un omaggio della città a James Joyce. Si sedette un poco turbato in un vicino caffè dove, trascurando le consuete regole, ordinò un brandy e lasciò che lo scorrere dei ricordi fluisse senza limiti. Suo padre gli aveva magnificato l'Ulisse, a suo dire, opera straordinaria, destinata a mutare lo sguardo letterario del secolo. Il giovane, fresco di studi classici, ne aveva scorso qualche pagina poi, di nascosto, aveva infilato nello scaffale quel testo tedioso. Qualche anno dopo aveva rivalutato questo grande scrittore leggendo senza sforzo Gente di Dublino. Mentre ammirava quel vecchio caffè, con tutti i suoi ori, ricordò che lo scrittore irlandese, nella sua vita travagliata, aveva avuto una predilezione particolare per Trieste, dove risiedette a lungo. Allora non si trattava di una piccola città priva di un suo sostrato culturale, ma che poteva riservare inaspettate sorprese".