Un breve testo per argomentare la tesi che religioni e pensiero dell'utopia sono formazioni tra loro concorrenti, asintoticamente orientate in modi differenti verso un'alterità politico-sociale, ma che solo il secondo è davvero compatibile con una pluralità di opzioni individuali riguardo ai "fini ultimi". Le religioni sono infatti le punte di diamante delle diverse culture, anche e soprattutto quando queste si vogliono "universalistiche". Va apprezzato lo sforzo di papa Bergoglio di liberare il cattolicesimo da quell'ethnos in cui finiva col chiuderlo un Ratzinger; ma lo sforzo è pressoché disperato, anche perché presso le altre confessioni religiose il legame con le culture sul cui suolo sono sorte è strettissimo. Il pensiero dell'utopia, invece, non poggia su nessuna base solida; l'elemento suo proprio è quello rarefatto della teoria - e, nei confronti delle culture, si pone come una sorta di lingua artificiale, un esperanto nato sì, storicamente, nel mondo occidentale moderno, ma come un insieme di proposizioni o proposte che hanno la caratteristica di essere "astratte" rispetto a questa o quella forma di vita particolare.