Gli ingredienti tipici della fantascienza ci sono tutti: astronavi e lontani pianeti, cloni e androidi, mostri viscidi e strani ibridi, intelligenze artificiali e superpoteri, megalopoli e macchine del tempo, per arrivare alle prospettive distopiche della fine del mondo. Il tutto visto con gli occhi imbambolati di un narratore sprovveduto e disperso in un cosmo che gli è estraneo e raccontato con un linguaggio ugualmente diverso dall'uso comune, costruito com'è da un meccanismo "allitterante" che si avvicina alle funzioni della poesia (per giunta con un'appendice finale direttamente scritta in versi, sebbene, a dispetto dei confini dei generi, di impianto teatrale). La struttura modulare, composta di brevi frammenti, ha un ritmo incalzante fatto di continui cambiamenti di scena, al modo di un cartone animato o di un teatrino di burattini. Parodia, senza dubbio, esercitata su un materiale banale molto sfruttato nella letteratura di consumo e nel cinema. Parodia e ironia: si ride parecchio qui, ma il riso contiene un acuto sogghigno critico, poiché nel mondo del futuro si riconosce il nostro e diventa chiaro, se ce ne fosse bisogno, che gli "alieni" siamo tutti noi.