«Il perdono eccede ogni possibile logica economica di scambio ed esige, da chi perdona, un sacrificio coraggioso»: in questi termini si esprime Vladimir Jankélévitch nel sostenere che perdonare significa scardinare ogni rapporto tra colpa e punizione. Dopo le catastrofi storiche e umane del XX secolo, il tema del perdono si inserisce nella riflessione filosofica in maniera cogente mettendo in evidenza i limiti e le responsabilità del pensiero occidentale per il suo coinvolgimento in quel capitolo di storia. Oggi la questione riemerge in tutta la sua urgenza. In questo momento storico i morti - per guerre, indifferenza, pandemia, pena di morte perfino - non cessano, nel loro silenzio, di rivolgere un appello alla coscienza dell'Occidente e alle coscienze di noi tutti; eppure, attraverso questo stesso silenzio essi non smettono di accordarci "qualche cosa" di molto simile al perdono. Sulle tracce di Dostoevskij e dei grandi filosofi del Novecento, che forse più di altri, per necessità storiche, si sono interrogati sulle sfide, sui paradossi, sulle ambiguità del perdono, si cerca qui di coglierne filosoficamente il senso o il non-senso o, meglio ancora, la pluralità di senso.