Oggi sappiamo che esiste un modo per affrontare un grande dolore come quello dovuto a un aborto spontaneo potendo contare su tanto supporto e un dialogo continuo, avendo abbandonato concetti antiquati come l'autocolpevolizzazione, le accuse degli altri, il fallimento del corpo. Oppure no? Oppure ancora in tante culture il silenzio, lo stigma e la vergogna associati all'aborto impediscono al dolore di troppe donne di venire alla luce esattamente come la vita che hanno appena perso? La psicoterapeuta Jessica Zucker, pur lavorando da sempre con donne in lutto per gravidanze mai portate a termine, non aveva familiarità con questo genere di sofferenza. E, come racconta in queste pagine, le sarebbe rimasto del tutto estraneo se non fosse stato per la figlia che non ha avuto, persa in casa a sedici settimane. Prima non conosceva davvero il trauma, dopo ha compreso che è necessario normalizzare la conversazione su quello che di fatto è un esito frequente della gravidanza, per fare in modo che un giorno nessuna donna dopo un aborto dica più: «Mi sento sola». Zucker intreccia la sua esperienza e le storie di altre donne in un'esplorazione compassionevole del lutto come un processo necessario, sfaccettato e collettivo. Rompere il silenzio vuole innescare un vero cambiamento riguardo al tema dell'aborto spontaneo.