La triestina Titti Petracco, iscrittasi nel 1936 a Ca' Foscari, riversa nella sua nuova vita, libera da costrizioni familiari, le intemperanze e le inquietudini dei suoi diciotto anni. Dalle pagine del diario, che intitola "Appunti di vita universitaria", emerge la Venezia delle bettole e dei caffé studenteschi, delle stanze fatiscenti affittate ai "fuorisede" squattrinati e degli sfolgoranti salotti di ricche compagne veneziane, lo sfondo di una vita studentesca narrata come una bohème effervescente. Con gli amici - in particolare con il gruppo di esuberanti triestine di famiglie ebraiche originarie dall'hinterland danubiano-balcanico - tutti avidi lettori di Dostoevskij e appassionati seguaci del docente di letteratura russa, improvvisa «orge moscovite» bevendo e cantando struggenti melodie slave. Come un «dolore tutto slavo», fatto di inappagamento e fantasticherie, descrive il suo «caos dell'anima» che la porta a vivere problematicamente la sua stessa identità di genere. Con le leggi razziali e lo scoppio della guerra, Titti si sente precipitare in «un mondo nuovo al quale non si è preparati», senza più illusioni né prospettive.