Leggenda del pugilato, ma non solo. Nino Benvenuti è entrato di diritto nella storia dello sport italiano. Il ricordo di tutti è al 17 aprile del 1967 quando, in una calda notte di primavera, diciotto milioni d'italiani, con le orecchie incollate alla radio ad ascoltare la cronaca di Paolo Valenti, hanno sofferto, pianto e gioito assieme a lui per la conquista del titolo mondiale dei pesi medi a New York, contro Griffith. Una grande impresa, che è diventata il simbolo dell'Italia che stava crescendo attorno al boom economico, quella della dolce vita felliniana, quella che ci invidiavano tutti. Ma al Benvenuti campione - oltre 200 incontri tra dilettanti e professionisti, oro e miglior pugile nelle Olimpiadi del i960, cinque titoli italiani e due europei tra i dilettanti, un titolo europeo tra i professionisti, due titoli mondiali in due categorie diverse, super welter e medi - si contrappone il Benvenuti uomo. Un aspetto meno conosciuto che, in occasione dei suoi ottant'anni, Nino ha voluto raccontare in prima persona, senza usare alcun paracadute. Parla della sua famiglia, esule istriana, e del legame con la sua terra mai dimenticata; del matrimonio infelice con Giuliana da cui ha avuto cinque figli; del grande amore per Nadia sposata nel 1998, quasi trent'anni dopo averla conosciuta; del rapporto recuperato con la figlia Nathalie. Un fiume di parole, di sensazioni, di sentimenti. Un viaggio a ritroso nel tempo, la fotografia di un'esistenza vissuta al massimo, dove l'uomo, al di là degli straordinari successi, si scopre fragile, vulnerabile. Dove il confronto con la quotidianità, una volta spente le luci del ring, si dimostra difficile. Dove gli errori, le delusioni lo segnano fino a portarlo a riscoprire l'essenza della vita in un lebbrosario di Madras, in India. Questo, e molto altro, in questa chiacchierata tra amici, fatta di ricordi, di sentimenti, di grande spontaneità.