Spiegare a parole l'idea che sta dietro un progetto non è sempre facile, soprattutto quando rimanda a un dialogo intenso tra l'architetto e la materia, quando l'architettura si fa strumento fisico di mediazione tra persona/utente e Natura. Così Kengo Kuma ricorre spesso all'onomatopea, a quella sensazione di empatia risonante creata dalle sue architetture, frutto di un'esperienza multisensoriale: vediamo i volumi, tocchiamo i materiali, percepiamo il profumo dei legni, ascoltiamo il suono delle onomatopee e... avvertiamo il "gusto" compositivo dell'autore. In quest'ottica, per presentare l'opera del maestro giapponese, letta attraverso tredici onomatopee, Venezia si rivela il luogo ideale per la sua bellezza effimera, per i segni del tempo, per i riflessi sull'acqua, per la percezione estetica della non linearità e degli attimi che fuggono, tutte caratteristiche che sono anche tipicamente giapponesi.