L'abitare si pone come categoria ontologica dotata di nuova operatività nell'ambito della psichiatria, che assume così i connotati di umanità e complessità proiettandosi finalmente al di là delle secche del riduzionismo biologico e di angusti schematismi diagnostici. Nelle "Dodici storie ai margini" l'autore conduce "in soggettiva" chi legge nelle avventure di chi le vive o le ha già vissute consegnandole alla memoria propria e dei gruppi di cui fece parte, esplora i contesti in cui si svolsero e le traiettorie del loro sviluppo, segue da vicino le vibrazioni emotive dei protagonisti e dei curanti, fino a farci perdere nell'intricato dipanarsi delle domande sul dubbio e la perplessità come necessaria disposizione interna di colui che si accosta al fenomeno della sofferenza. Ne scaturisce un senso di tenacia metodologica per una clinica che si contamina con le discipline antropologiche e storico-religiose, e rilancia, nei dipinti che ogni casa ci disvela, la proposta di un progetto.