Il 26 febbraio del 2016, insieme a Simone Moro e all'alpinista pachistano Muhammad Ali Sadpara, Alex Txikon è riuscito in un'impresa che era stata tentata invano più di trenta volte e che sembrava impossibile: la prima salita invernale del Nanga Parbat, la «montagna nuda», uno degli Ottomila più difficili e pericolosi. Alla salita senza ossigeno supplementare aveva preso parte anche Tamara Lunger, che si era fermata a poche decine di metri dalla vetta. Alla spedizione inizialmente aveva partecipato anche Daniele Nardi, che due anni dopo avrebbe perso la vita sullo sperone Mummery insieme a Tom Ballard. «Perché scalare il Nanga Parbat?» è la domanda che si legge in ogni frase, in ogni descrizione, persino in ogni silenzio. Per Txikon il Nanga è la montagna più bella del pianeta, per lui è stata una grande storia d'amore. Ma su un Ottomila occorre ragionare con lucidità se si vuole tornare a casa. E si deve venire a patti con i fallimenti, le rinunce, e la perdita di amici e compagni. Muoversi su un filo teso tra razionalità e passione, da cui dipende la propria vita. In un racconto pieno di pathos, Alex Txikon non parla solo dell'avventura alpinistica, dell'organizzazione, della preparazione atletica, ma anche dell'esperienza devastante che ha vissuto due anni dopo il suo successo, quando accorse al Nanga Parbat per guidare le ricerche di Daniele Nardi e Tom Ballard, dispersi sullo sperone Mummery. La montagna ha sempre due facce, soprattutto quando è «nuda».