Nella notte tra il 19 e il 20 maggio 2012, in tutto il Nord Italia si avverte una prima forte scossa di terremoto, con epicentro tra le provincie di Modena, Ferrara e Bologna. Pochi giorni dopo, una seconda terribile scossa. Autorità locali e Protezione Civile allestiscono centri di accoglienza, campi e luoghi di raccolta per gli sfollati, che sono diverse centinaia. I mass media si riversano nelle località più colpite per documentare e in qualche modo raccontare la tragedia. Ma solo chi c'era ha la reale percezione del disagio, della paura, del senso di fragilità che comporta non essere più al sicuro in casa propria. Morena Festi, in un diario anomalo e toccante, c'era e testimonia lo stato d'animo di chi alla prima scossa è corso in strada, nei cortili, incredulo per un avvenimento così inaspettato. La quotidianità ne esce stravolta, le pareti di casa, che da sempre sono simbolo di sicurezza, diventano nemiche, pericoli a cui sfuggire. La serenità, se così possiamo chiamarla, sta nell'essere all'aperto. Poi, la seconda scossa, più forte della prima, arriva direttamente al cuore, ravvivando una paura con cui le persone avevano appena iniziato a convivere. Il tempo passa, lenisce le ferite. I lavori di restauro sono lunghi, cambiano la fisionomia dei luoghi e ancora non se ne vede la fine. Morena Festi, intanto, si affida alla scrittura per mettere in ordine i suoi pensieri e le sue sensazioni di sopravvissuta. Poi, nel 2019 un virus sconosciuto colpisce indiscriminatamente. E rileggendo i suoi appunti, la scrittrice si accorge di un sintomatico paradosso: se durante il terremoto l'unione era elemento di forza, in pandemia le persone sono costrette a stare isolate. Situazioni diverse, la stessa paura, la stessa determinazione a non arrendersi.